La direttrice del Museo Sannitico di Campobasso apre ad una visione nuova del Museo post Covid

Susanne Meurer, direttrice del Museo Sannitico di Campobasso, indica la strada da intraprendere per la rinascita della fruizione museale nel periodo post Coronavirus.

“Sono direttrice di un museo, il Museo Sannitico di Campobasso. Il museo Sannitico raccoglie reperti dalla preistoria fino al Medioevo, testimoniando la storia del territorio molisano. Ho sempre pensato che un museo, soprattutto un museo archeologico, dovesse essere aperto al territorio e al pubblico e per questo nel poco tempo in cui ho avuto l’occasione di occuparmi di questo museo ho cercato di dare spazio a realtà diverse, ad aiutare la comunità a vivere il museo in vari modi. Ma tutto questo ora appare senza significato, superato dagli eventi storici che hanno fermato il nostro tempo. L’irrompere degli sconvolgimenti comportati dal Coronavirus ha cambiato tutto: all’improvviso è calato il silenzio. Le strade e le piazze si sono svuotate, i musei sono stati chiusi, le loro sale deserte. In questi mesi sono state numerose le iniziative per mantenere vivo il filo con il pubblico, spostando il museo online: si sono moltiplicate le visite virtuali, i cataloghi on-line e gli approfondimenti sulle collezioni, giochi on-line sul patrimonio culturale, passeggiate virtuali con le guide e i direttori dei musei, notti bianche della cultura on-line, letture di poesie on-line, concerti on-line… Queste attività si sono aggiunte ad un già imponente carico di comunicazione virtuale che in questi mesi abbiamo sperimentato, come la didattica a distanza, lo smart-working e tutti film e i giochi on-line con cui abbiamo cercato di tenerci compagnia – in maniera più o meno efficace. Ma questi espedienti virtuali non possono farci dimenticare lo spaesamento di un museo silenzioso con le sale deserte. Un museo senza visitatori non vive, è muto. È facilmente prevedibile che i musei e i luoghi di cultura, che sono luoghi dedicati alla socialità, faticheranno a riprendere l’attività nelle modalità abituali: il distanziamento fisico e le precauzioni contro il contagio, la diminuzione degli spostamenti e dei flussi turistici, la preoccupazione di contrarre il virus. Nella società post-COVID, il museo dovrà rivedere il suo modo di rapportarsi con i visitatori. Da un lato, non si potrà più tornare indietro dalla realtà virtuale: abbiamo visitato musei e luoghi d’arte in tutto il mondo rimanendo comodamente seduti a casa, abbiamo magari scoperto la meraviglia di esplorare ogni centimetro di un dipinto in alta definizione, o trovato materiali inediti. In breve, siamo diventati pubblico virtuale, lontano ma connesso. Ma dopo questa overdose di immagini virtuali (così come di immagini irreali e surreali) ci sarà anche la comprensibile voglia delle persone di riconquistare il piano del reale, di tornare ad emozionarsi davanti ad un’opera d’arte che ci appare davanti e di approfittare nel contempo di alcuni aspetti “positivi” del virus – come la rarefazione del pubblico, lo scaglionamento delle visite, lo spaziamento dei visitatori, il silenzio, ecc.  Viaggeremo di meno, e invece di scoprire una capitale europea potremo tornare a scoprire le cose che ci sono più vicine. Ci sarà quindi il pubblico reale: un pubblico essenzialmente locale, più domestico e di prossimità, espressione di comunità e di reti di utenti sul territorio, che avrà più facilmente la possibilità di visitare il museo in situ. Questo pubblico “in carne e ossa” è fatto di visitatori che pagano il biglietto, passeggiano fra le sale, si fermeranno davanti alle opere, a scattarsi selfie e a comprare gadget sul posto. Si tratta di una parte di pubblico locale è composta da persone potenzialmente conosciute, identificabili, che hanno un nome e una faccia, abitano sul posto e che potrebbero diventare visitatori abituali. Nei grandi musei, finora interessati da un flusso turistico di italiani e stranieri provenienti da altre zone, questa parte del pubblico è stata spesso dimenticata, o quanto meno trascurata perché data quasi per scontata. Ora, i musei potranno cercare di recuperare, interessare, motivare, conquistare i visitatori nella prospettiva di rapporti reali, concreti, personalizzati e durevoli. Il museo ha ora la possibilità di diventare uno spazio che può essere vissuto in maniera più domestico e comunitario e questa possibilità nasce proprio dalla consapevolezza che è indispensabile alimentare la memoria: il patrimonio rimane vivo per la comunità se il modo di comunicarlo viene aggiornato alle esigenze dei visitatori. Un museo archeologico, in particolare, è il luogo dove sono riunite le testimonianze materiali di un territorio. Racconta la storia dei luoghi che abitiamo, da dove siamo partiti e come si è costruita la nostra identità attuale. Il museo diventa quindi uno strumento importante per l´affermazione identitaria di una comunità che conosce certi processi produttivi e certi manufatti da sempre – ma solo nel museo vi è la possibilità di collocare queste esperienze nel contesto della loro provenienza e della loro evoluzione e di rafforzare il legame che ci unisce alla nostra storia e al nostro territorio proprio attraverso queste testimonianze fisiche. Il museo offre il racconto di un passato che ha formato il nostro territorio e la nostra identità, collegati a noi attraverso un filo sottile. E proprio questo filo sottile viene tessuto dall’archeologia che studia il passato per dare valore al presente e al futuro che verrà. Ma la vera sfida è rappresentata da come comunicare, come trasmettere queste testimonianze e il significato che esse hanno per noi. Il museo, inteso quindi sempre più come luogo aperto alla comunità, diventa così uno spazio per attività che a prima vista poco hanno a che fare con l’attività di un museo: un concerto, una conferenza, una rappresentazione o altre attività che prevedono una forte interazione con le persone. Un museo che si apre alla comunità e al territorio per accogliere le loro istanze, il loro presente, per inserirlo nel racconto continuo della nostra storia. In particolare, può diventare uno spazio che per i giovani assume un significato diverso: diverso dai soliti luoghi di aggregazione, uno spazio però che li riguarda, con il quale c’è un legame di appartenenza e nel quale, grazie anche al lavoro di chi li accompagna, possono trovare un legame con la loro storia e la loro identità, Uno spazio che gli appartiene, non solo perché è uno spazio pubblico, ma perché è reale, viene da lontano ma li accompagna nel loro passaggio al domani. 

Torneremo nei musei ma non sarà più lo stesso. Cercheremo di renderlo migliore”.